sabato 11 giugno 2011

Lacrime

Come tori rumoreggiano
contro la stanca chiudenda.

Poi sottili
scivolano lunghissime
su solchi inesistenti
senza inciampare.

Il loro letto
tranquillo
s'empie e si gonfia
d'immenso

dietro cascate di note
perfette,
dietro la mente di un genio.




Un commento, un commento :-)

domenica 8 agosto 2010

I Draghi (08/08/2020)

Credete davvero che i draghi siano sempre uguali?

Che abbiano sempre gli stessi artigli?

I draghi cambiano ogni giorno,

ogni istante,

e dopo ogni nostra trasformazione.

Ne vedo uno ora.

in questo istante mi arriva alle spalle

e mi annienta la pace:

meta raggiunta dopo giorni d’attesa.

Quale aerea figura annunciata,

attesa,

desiderata,

piomba dal nulla,

e si trasforma ora,

in due battute,

in un mostro d’ansia e distruzione.

Cosa c’è di peggio a volte che la realizzazione di quel che sogni?!

Una figura improbabile diventa reale

e con la sua realtà mostra corna e spine prima sconosciute,

ignorate,

immaginate logore del tempo trascorso.

Quali sono i tuoi colori, oggi?

Con quali ali agiterai l’aria della mia stanza?

Con quale alito incontrerai il mio?

Dio ci scampi da quel drago che non muti profilo,

le cui squame graffino la nostra pelle alla stessa maniera.

Un’insperata giustizia annienta ogni chimera,

per darci sollievo ce ne presenta sempre di nuove,

diverse,

da affrontare ancora,

da far sparire ancora.

mercoledì 4 agosto 2010

04/08/2010 "La Luce"



Luce (2010)


Invisibile nel vuoto cerchi oggetti

come un fantasma,

rapidissima e indifferente,

fino ad accendere di vita ogni cosa,

che grazie a te, ora

s'appalesa e esiste.


Soglia veloce irraggiungibile,

mistero denso d'infinito,

unico assoluto nell'Universo.


Senza di te i colori svaniscono,

misero diventa il creato,

perché dei cinque sensi

uno diventa inutile.

E da altri sensi dev'esser colto.


Vorrei paragonarti ad altro,

ma son le altre cose che a te si paragonano,

come l'amore,

quello di un bambino per la propria madre

che a un altro amore paragonar non si può.




Grecale nascosto 1 (2004)


Luce che cade dall'alto,
congela in un nitore irreale
e scava nei sottosquadri,
quasi un pensiero segreto svelato.

Il calore è al par suo,
scalda, ma lascia leggeri,
leggero il passo,
senza sudore,
e l'animo mio
con esso.




Grecale nascosto 2 (2004)


Luce che cade dall'alto, congela
in un nitore irreale ed apre
solchi di tenebra,
pieghe remote,
quasi un pensiero segreto svelato.

Scalda il calore, imitando.
Scalda, e leggero ti lascia,
lieve il passo,
senza sudore.

E l'animo mio
lo segue.


martedì 22 dicembre 2009

Occhi di gatto

(Dicembre 2009)


"Distanti dalla comprensione, distanti!"

Un boccone troppo grosso che soffoca

spinge e fa male, e non smette.

Duole sempre di più

la consapevolezza che non ama lasciar traccia

se non coi suoi trucioli.

La sua espressione come un lago che non trova un fiume

ma mille rigagnoli assorbiti dalla terra appena nati.

Resta la vita da sorvolare leggeri

invischiati e lontani,

insieme,

con mille domande o forse nessuna,

diamante di coccio di vetro che rotola,

gatto dagli occhi vuoti, come lucertola,

automa di ferraglia che non mantiene quel che promette.

Ci proponiamo di “essere”, e invece siamo;

senza virgolette.

Illusione subdola carica di relitti,

sulla purezza di una molecola che replica se stessa.

martedì 27 ottobre 2009

Prometeo

Non si può chiamare "racconto", non si può chiamare testo epistolare, e-mail. Pagina di diario: forse. Sto parlando di Prometeo!
Eccolo a voi, ma.....
E su, commentate!!!!



PROMETEO



13/4/1998 Oggi è Lunedì in Albis, giorno di pasquetta.
Ho una strana sensazione addosso, per quanto non sconosciuta: mi sento come uno che deve dire delle cose e non sa a chi dirle, su come si sente, su ciò che crede. Ho aperto, così, questo file dove posso parlare a me stesso. Almeno io ho la pazienza di ascoltarmi. La musica incessante di un cd comprato in edicola sottolinea con la sua pacatezza non disgiunta da un senso d’inesorabilità e di voglia di penetrare con le sue note nell’aria intorno, per essere ancora più chiara a se stessa, viva perché ha qualcosa da dire… Questa musica un po’ melanconica, priva d’alti e bassi ma capace di farsi udire grazie al suo essere incessante, diversa ed uguale ad ogni periodo, questa musica mi ricorda me, me che devo andare avanti, avanti, senza speranza di essere compreso, senza speranze d’approdi, senza che si possa trovare nemmeno in se stessi una propria soluzione a ciò che fora l’anima che, ovunque ricercato, pure è sfuggito ad ogni percezione, Graal dell’intimo di uno spirito del terzo millennio che continua a sottrarsi al tocco impuro anche del più nobile dei cavalieri.
Ma si sa, la grandezza dei temi del ciclo del Graal è nella spinta alla ricerca, nella fede nella propria missione, modesta parte di un compito ultraindividuale e ultratemporale. Il vello d‘oro può anche non essere mai esistito, e non per questo non compie miracoli nelle anime di chi lo insegue, eppure… occorre conservare l’innocenza e la verginità che in esso creano il potere nobilitante che ne fanno qualcosa d’unico, come unico è chiunque da esso fascinato, forte nella fede e speranzoso nel futuro.
Ma ora…
Occorre mettere riparo, arginare le ampie falle da cui la fresca e cristallina acqua irrompe per strappare al Titanic la sua maestosa postura, adagiato sui flutti, fino ad ottenerne il ridicolo sollevamento della poppa, antifona dell’ultimo atto di una gloriosa ma breve vita.
La vita di un Titano non può spegnersi senza che si spengano quelle di chi ad esso erano affidati, ed idealmente si spengono pure quelle di chi avrebbero potuto con lui navigare in futuro. Ma poco male: è nel disegno della natura che gl’individui soccombano, le popolazioni siano sterminate, le specie lascino il posto ad altre specie, che mondi muoiano mentre nuove stelle nascono, dando la vita ad insospettate forme viventi, inusitate intelligenze… anch’esse destinate a misurarsi con l’azione calma e diabolica del Tempo. Ed il tempo, quando la materia sarà collassata in un’unica sfera senza dimensione, anche il tempo cesserà di esistere.
Ed io qui, lontano da tutto questo, pure ne faccio parte, come un pidocchio che non si chiede del cane su cui prospera, ma pure subisce le conseguenze dell’agire del cane, oggetto troppo più grande di lui per cadere sotto i suoi sensi, per essere nei suoi pensieri, ma il cui movimento di una zampa può irrimediabilmente provocarne la morte, perché questo mostro di un cane gli dà la vita, perché lontano da lui o da un altro animale, nella polvere, per terra, non ha alcuna possibilità di sopravvivenza.
Non so come considerare gli altri pidocchi che, come d’altronde anche quelli che sperano in un conveniente comportamento del cane, a questo non pensano affatto, tanto non possono in alcun modo cambiare la sua e la loro sorte.
Ho sempre creduto che la consapevolezza sia un principio indiscutibile, eppure i pidocchi che non avvertono l’esistenza del cane vivono meglio e con meno pensieri.
Ma l’Uomo che nella preistoria viveva pochissimo, di stenti e sempre alla mercè delle belve non ha forse scoperto il Fuoco? E chi dei simili di quel Prometeo avrebbe mai sospettato che invece di una tigre dai denti a sciabola oggi ci si sarebbe dovuti difendere dal Cancro?
Quante bestie avranno già visto cadere un fulmine su di un albero, delle pietre spezzarsi con produzione di scintille… ma solo Chi si fosse abituato a giocare con la mente, in trastulli inutili, osservando le cose intorno a lui (o lei?) ed abituandosi a pensare in termini di causa-effetto, solo un vero Prometeo poteva illuminare la notte con la luce del gioco, del coraggio, del piacere di mostrare a se stesso il prodotto della propria creatività.
Ma prometeo è anche un uomo e vuole restare fra la sua gente, da cui si sente così lontano.
Se "parla solo di calcio e di donne, di membri lunghi tre spanne, dell’ulcera duodenale del salumiere, di tutte le corna del droghiere…" non ci sono problemi. Tutto va bene.
Ma poi?
Poi si stufa di questa interessante conversazione. Ci sono cose che lo divertono di più e lui deve divertirsi da solo e se trova qualcuno disposto a tentare di divertirsi con lui non sa nemmeno se sia per compiacenza.
Poi entra dentro di sé e non sa più che sta facendo, se serve a niente, se si diverte più.
Io ora so che ci sono cose che mi divertono che posso condividere con altri, cose che mi divertono che non riesco quasi a fare e che quindi mi divertono sempre meno, cose che mi divertono moltissimo che però ho scoperto che non posso fare perché mi conducono a sragionare, a percorrere labirinti affascinanti pieni di precipizi, dove l’acqua ti porta su eccitanti scoscese rapide, cascate dorate, poi rapide pericolose dove la velocità aumenta all’infinito in un labirinto di cunicoli dove devi rapidissimamente scegliere la direzione, poi verso l’ignoto, ma un ignoto pauroso di cui una volta hai assaporato l’assoluto gaudioso, un’altra volta quello doloroso, altre volte hai assaporato il brivido di essere sulla sua soglia.
Fortunatamente ho anche in qualche modo imparato a fermarmi molto prima delle rapide pericolose, ma ciò significa che se voglio vedere un film interessante devo accontentarmi di vederne l’inizio, per poter poi cominciare da capo solo con un film diverso, perché quel film che m’interessava prima, se ricomincio a vederlo, lo trovo misteriosamente cambiato, scialbo e senza alcuno dei possibili seguiti che prima avevo ravvisato.

martedì 20 ottobre 2009

BOTTIGILA (Monologo)

Ah, cosa ho in testa…. E chi lo sa, oramai. Merda, nient’altro. E questo brandy che mi scende nelle vene. Meraviglioso, caldo brandy, che ti guardo e mi sei amico, capace di riempirmi come nient’altro, come nessuno, nessuna qui.

Sì, ancora, ancora il velluto dorato del tuo corpo, a bruciare un poco i peccati nella mia bocca.
Sai essere suadente e pungente, ma me mi lasci libero, mi lasci appagato e distante miglia e miglia dalla mia ansia, che altrimenti mi rode l’anima, me la sbrindella e…. E non esiste più, dopo un po’; annientata da questo cancro.

La mia anima svanisce, dietro le mascelle di questo demone, che avrà gli occhi della soddisfazione, della cupidigia soddisfatta.

La mia ansia, cosa l’alimenta, cosa la cagiona, un viaggio dentro me stesso non basterebbe; una esplorazione decennale nelle foreste del mio io, il mescolarmi coi miei mostri, per riuscir loro amico, inoffensivo, e per carpirne così i segreti, gli umori… niente servirebbe.

Ci sono stato lì dentro, a lungo, ho percorso sentieri sconosciuti e valicato passi segreti, per giungere in nessun luogo. Ho scalato picchi e cuspidi di autoglorificazione inenarrabili, sono disceso negli abissi della nolontà, della depressione profonda, da cui non è prevista uscita, per non trovarvi un bel niente, un seme di quel che ha luogo, in quel profondo, che giustifichi questo sconquasso, questo vuoto.

Sì, ho cercato, e che credete?! Mi sono messo a faccia a terra, scandagliato con l’orecchio; ho trattenuto il respiro fino a farmi scoppiare i polmoni per sentire anche il minimo suono, il più piccolo rumore. Ho strizzato i miei occhi miopi oltre misura, per cogliere un chiarore lontano, una stella, qualcosa che mi permettesse di capire.

Ma il mio destino mi insegue anno dopo anno, settimana dopo settimana, per raccontarmi che la mia ricerca, il mio nocciolo da individuare, la mia scintilla... semplicemente non ci sono, non esistono.
Quante volte l’ho intravisto questo destino, quante volte mi sono accorto che cercavo giustificazioni inesistenti, giustificazioni al mio malessere.

Eppure sono sempre riuscito a nasconderlo un po’, ad offuscare la mia vista, grazie a luci accese per l’occasione, illusioni scintillanti, parole sentite dire di me ed amplificate, oltre misura, fino a farne le testimoni di una vera grandezza, le cugine povere di qualcosa che non si riesce nemmeno a dire.

Troppe volte nei miei andirivieni dentro e fuori di me ho scoperto che non c’era niente da trovare, che la terra promessa era brulla, arida, incapace di nutrire me stesso... figuriamoci qualcun altro.

Ora mi è chiaro, brandy mio: il mio corpo è la tua bottiglia, è perfettamente vuoto per poter contenere te, con sublime dedizione alla propria funzione, quella di dare albergo a questo liquido divino, il corpo tuo, o dolce, dolce brandy.

Ho dovuto svuotarmi di tutto, prima, eliminare ogni residuo di me, di volontà, di capacità di vivere. Ho dovuto piegare gli angoli dei miei occhi verso il basso, per far sì che qui il tutto potesse essere degno di accoglierti, solvente di umori, annacquatore di paturnie.

Ahhhhhhhhh……. , mio brandy. Resta ancora un sorso. La bottiglia è quasi vuota. E perché lasciare incompleta un’opera (tracanna)? Sipario chiude.

lunedì 7 settembre 2009

Deh, Vieni alla Finestra 1

Ho cantato al karaoke quest'aria di Mozart, dal Don Giovanni, quando ancora un minimo di voce ce l'avevo. Ora non mi è possibile nemmeno questo, ma almeno ho provato a ricavarne una Videolirica scherzosa....
Divertitevi!


Deh, vieni alla finestra,
o mio tesoro!
Deh, vieni a consolar
il pianto mio:
se neghi a me di dar
qualche ristoro,
davanti agli occhi tuoi
morir vogl'io.

Tu ch'hai la bocca dolce
più che il miele,
tu che il zucchero porti in
mezzo al core,
non esser, gioia mia,
con me crudele:
lasciati almen veder,
mio bell'amore!




Ah, il video guardatelo da youtube, cliccando in basso a destra sul suo logo.


domenica 6 settembre 2009

Squarcio (settembre 2009)


Tra i fitti damaschi
neri e pesanti,
funerei,
di una tenda da lutto:
uno squarcio.
E dietro:
lucenti finestre...
E i riflessi del sole.
.

Velluti (settembre 2009)


M’aggiro, è la mia grande stanza
Le tende in velluto pesanti
Fantasmi di gelid'amanti
Di cui oramai ho abbastanza

È buio ed un suono non sento
L’umore è una macchia d’inchiostro
Ma poi come in loco di chiostro
Pian piano si placa il tormento

Discosto le funebri tende
E il buio d’improvviso si spegne
Silenzio oramai non s’intende

La luce in un suono si muta
È musica, un canto accecante
È gioia improvvisa ed acuta.

sabato 5 settembre 2009

Amore e Dolore (aprile 99)

Una poesia del '99; si chiamava "Strazio". L'ho rinominata "Amore e Dolore".

Strazio
è
nella sofferenza
guardare il volto d'una persona cara che soffre del tuo soffrire
ed allo stremo dissimula
poi cade
poi ancora si riprende
e non sai sperare che il tragico gioco riesca
(atto d'amore)
a ricordarti un vero sorriso
né che vinca la maschera greca
dove riposa il dolore.


Per vedere la videopoesia copincolla il seguente link:

www.youtube.com/watch?v=_OsjKCChBRw





domenica 23 agosto 2009

Le parole non dette


Le parole non dette si affollano nell'anima
gonfiano le viscere
intristiscono lo sguardo
fanno crescere
invecchiare il viso di chi le porta dentro di sé
come un virus si moltiplicano nella gola di chi ve le ha serrate.

Le parole non dette pesano e prolificano
fanno bene alla tasca
al potere
e male al cuore
fanno maturare
per essere pronti per questo mondo di schifo
avvizzire ogni purezza.

Le parole non dette alitano nel sogno una felicità mancata
soffiano un'angoscia bloccata
una ineffabile nostalgia
svuotano chi ti è vicino di ciò che gli spetta
lo trasformano in una statua di cera immutata
mentre arde la fiamma ai suoi piedi.

Le parole non dette hanno mille colori
mille sensi
e ognuna ci spegne un poco
e a poco a poco ci trasforma.



Per visualizzare il video in maniera corretta utilizzare Youtube cliccando in basso a destra sul suo logo.


mercoledì 19 agosto 2009

Vibra la vita


Vibra la vita già nel ventre materno,
esplode in un pianto quando vengo alla luce,
freme mentre cresco,
mentre le note del mondo si affollano nelle mie orecchie,
mentre ogni alito d'aria accarezza la pelle ignorante.

L'universo intero tremola quando lo percepisco,
un moto incessante di onde che ogni cosa pervadono e penetrano i corpi,
spingono i pensieri;
pare come se i pensieri stessi fossero causa di tutto,
un unisono di causa ed effetto.

Ma...
Immotivatamente il moto rallenta,
pigre le frequenze si smorzano,
sbiadisce ogni cosa e l'universo arrochisce,
piange ogni cosa se un pianto s'ingoia.

Ma...
Infinite le dimensioni,
vibrazioni ancora incessanti,
ancora morenti,
ancora assordanti:
un orgasmo infinito,
un globo perfetto.

Nulla può sfuggire dal cerchio per mille occhi ciechi;
ancora mille che luccicano innocenti o saggi sull'unica multiforme realtà di mani strette, comunque,
nel bene e nel male,
perché tutto è uno.